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Il “caso” Comiso

Il “caso” Comiso

Ft.: Robertangelo Ciccone

 

Da qualche anno oramai, le immagini della guerra nell’ex Jugoslavia hanno condito abbondantemente i nostri notiziari radiotelevisivi, e altrettanto occupato le pagine della nostra stampa. La primavera – estate ’99 ha visto in primo piano l’esodo dei profughi Kosovari.
Per fare fronte ai tanti problemi dell’emergenza in questa regione il Governo Italiano si è impegnato in un piano di aiuti umanitari denominato “Missione Arcobaleno”.
Per il sottoscritto, animato da continuo spirito di solidarietà, il desiderio di partecipare a tale missione era già maturato da qualche tempo. Dopo aver inviato il curricum a tutte le ONG e Associazioni di Volontariato, ampiamente reperibili tramite mass – media, ho incontrato, “casualmente”, la simpaticissima Sig. Rina, del gruppo di protezione civile R. Flaminio Roma. Ho riproposto la mia disponibilità per la Missione Arcobaleno e, previo tesseramento ANPASS, ho atteso la partenza per l’Albania o per Comiso. Così il 22 maggio “99 sono partito per la Sicilia.

Il gruppo di partenza era composto da quattro infermieri, tre autisti e un coordinatore. All’arrivo la situazione mi è sembrata abbastanza confusa. Ci è stato assegnato un alloggio all’interno di container nei quali sono ricavate delle stanze con bagno, mentre la mensa, tipo militare, era gestita dalla Croce Rossa.

Ben presto mi sono reso conto che oltre ai profughi, nel campo lavorava una moltitudine di persone facente parte delle più svariate associazioni di volontariato (quindi una notevole disponibilità di risorse umane), tutte animate da un encomiabile spirito umanitario. Il contrasto tra le risorse effettivamente disponibili e la scarsa qualità dell’assistenza erogata metteva in risalto un grosso deficit organizzativo, a livello nazionale prima e regionale poi. La struttura organizzativa (l’unica a ricevere un compenso) rispecchiava infatti, in tutto il suo splendore, quel modo di “non fare” che caratterizza ormai il cosiddetto malcostume italiano.
Il mattino del 24 ci siamo presentati alla responsabile ANPASS del campo, che assegnava i compiti ai volontari. Dopo ore di attesa gli infermieri venivano inviati al pronto soccorso, mentre io venivo messo in contatto con un medico che aveva segnalato casi d’interesse riabilitativo. Tale medico, dopo le presentazioni, mi scaricava ad un collega (non operativo) del posto. Mi sono state presentate alcune schede con i nominativi di bambini disabili Kosovari, ed un registro sul quale “notificare” le prestazioni riabilitative.
E’ iniziata così la ricerca di queste persone all’interno del Campo, presso le abitazioni assegnate ai profughi. Andando in giro ho potuto osservare la situazione e identificare altre persone disabili che non avevano ancora usufruito del servizio sanitario del campo, poiché erano arrivati da poco. Dopo aver registrato i nominativi li informavo sugli orari di visita dei relativi ambulatori specialistici, rilasciando un appuntamento per il giorno dopo.

In breve è stato allestito un servizio di riabilitazione gestito durante la giornata che prevedeva assistenza domiciliare al mattino e ambulatorio nel pomeriggio. Tre volte a settimana in ambulatorio si aggiungevano un neurologo e una collega di Comiso.
Le patologie riscontrate nel campo profughi, non erano esclusivamente traumatiche o post belliche, ma racchiudevano tutti quei casi che statisticamente si riscontrano sul nostro territorio italiano. E’ stata nostra cura stilare le valutazioni e le indicazioni sui trattamenti effettuati così da ridurre al minimo il disagio del passaggio terapeutico e metodologico da un collega all’altro.

Il lavoro si andava così delineando, quando mi è stato fatto notare dalla referente regionale dell’ANPASS, che la data della mia partenza si avvicinava e l’attività che si era sviluppata – emersa da un’evidente necessità – non sarebbe stato continuata. Sono stato invitato quindi, a cercare una soluzione a questo problema.
Dopo aver cercato una disponibilità tra i colleghi della regione Sicilia tramite il personale di Comiso ed il neurologo, ho deciso di mettere in contatto l’AITR nazionale, FsF e la sede centrale dell’ANPASS.
Dai colloqui intercorsi tra le associazioni è nato un protocollo d’intesa che prevedeva che i terapisti impegnati, potessero usufruire di precettazione da parte della Presidenza del Consigli dei Ministri, attraverso l’applicazione dell’art. 10, che garantisce, ai lavoratori dipendenti, il congedo straordinario retribuito e il rimborso, tramite ANPASS, delle spese di viaggio.

La raccolta delle disponibilità è stata continuata dai colleghi del gruppo “Fisioterapisti senza Frontiere”, che opera all’interno dell’AITR e di cui anch’io faccio parte. Le adesioni sono giunte, con nostro immenso piacere, numerose.
Questo denuncia la presenza nella nostra professione di numerose persone animate da grande spirito di solidarietà, caratteristica “forse” già insita nel lavoro del riabilitatore, ma che sempre più spesso si perde nei meandri del “come” perdendo di significato. Se da un lato i riscontri dei colleghi partiti in seguito hanno confermato le critiche già esposte rispetto all’organizzazione, dall’altro hanno espresso molta soddisfazione per la ricchezza dell’esperienza sotto il profilo umano.

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