In Tanzania

In Tanzania

In Tanzania

Ft.: Cristina Rossi

 

Sono partita con molta paura accentuata da problemi organizzativi dell’ultimo momento sia dell’agenzia che dell’associazione, poi, una volta in Africa, è stato tutto molto più semplice del previsto.
Il viaggio è lungo ma in buona compagnia diventa un’avventura!

Il centro è ben attrezzato c’è una bella palestra con molto materiale e un’ottima sala per la terapia occupazionale.
La riabilitazione è gestita da suor Shirley che è colombiana, una bravissima persona sia dal punto di vista umano che professionale, ma da sola non riesce a far tutto. Nel periodo in cui siamo state là era molto occupata a “rattoppare” i gessi e a gestire situazioni di emergenza, il tempo per la riabilitazione era poco.

Al centro vive anche un frate africano fisioterapista, Joseph, lui si occupa dei casi esterni, circa 10-15 al giorno, questi sono bimbi che vivono temporaneamente con le loro mamme in una casa messa a disposizione dal centro.
I bambini ricoverati sono circa quaranta, arrivano da tutta la Tanzania e alcuni sono là da più di un anno, la maggior parte sono paralisi cerebrali infantile di livello medio grave.

Noi fisioterapiste italiane siamo state seguita da Shirley, ci ha assegnato sei casi ciascuna, alcuni da seguire per la riabilitazione motoria altri per terapia occupazionale. Fortunatamente ci sono state fornite le cartelle dei bimbi, non molto dettagliate ma comunque molto utili in particolare quelle in cui un fisioterapista aveva riportato la valutazione e il trattamento svolto in passato.
Abbiamo lavorato coi bimbi per due settimane, un tempo troppo breve per ottenere qualche risultato, speriamo che i fisioterapisti che andranno dopo proseguiranno il nostro lavoro.

Oltre al problema della lingua un’altra difficoltà con cui mi sono scontrata è stato decidere quali obiettivi riabilitativi porsi, sia per i tempi così brevi ma anche per lo stile di vita completamente diverso rispetto ai casi italiani. Per i bimbi africani è essenziale potersi spostare da soli, anche strisciando o a quattro zampe ma dev’essere in modo completamente autonomo, le famiglie sono così numerose che per una madre è molto difficile seguire un figlio disabile.
Non ci siamo dedicate alla formazione del personale locale, il problema della lingua in questo caso è un grosso limite, sarebbe utile partire con una conoscenza minima di swahili o almeno qualche frase tradotta, del materiale visivo da mostrare, bisognerebbe cercare di approfondire questo aspetto.

Per me questa è stata un’esperienza molto bella, oltre ogni aspettativa, dal punto di vista umano e professionale, mi è servita per mettermi alla prova, per conoscere una parte dell’Africa, sperimentare un altro modo di vivere, ho cercato di fare del mio meglio per essere utile anche se alla fine mi sono resa conto di aver ricevuto da loro molto più di quello che ho dato.

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