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La mia esperienza in Bangladesh

La mia esperienza in Bangladesh

Ft.: Giulia Oggero

 

Mi chiamo Giulia, sono una fisioterapista di 27 anni residente a  Torino. Mi sono laureata nel 2010 e ho sempre avuto il desiderio di fare un’esperienza nei Paesi in Via di Sviluppo, soprattutto dopo aver ascoltato le varie testimonianze ai corsi FSF! Ho avuto la possibilità l’anno scorso, grazie alla Comunità Papa Giovanni XIII.

Contesto Bangladesh: cenni

Il Bangladesh è uno stato relativamente giovane, nato nel 1971 dopo una breve ma sanguinosa guerra di indipendenza dal Pakistan. Solo nel 1991 si è tornati alle libere elezioni, ma tutt’ora il paese è caratterizzato da forte instabilità politica e i processi democratici sono estremamente fragili.
Il territorio è caratterizzato dai delta dei fiumi Gange e Brahmaputra e la sua collocazione geografica, ai tropici, espone il paese al ripetersi di ciclici fenomeni atmosferici quali cicloni tropicali, mareggiate e inondazioni che affliggono il paese quasi ogni anno.
Il Bangladesh è il paese con la più alta densità di popolazione mondiale, e si colloca tra i Paesi con un Indice di  Sviluppo Umano Basso (146° posto su 187, ONU 2011).
Nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, il tasso di mortalità infantile, la malnutrizione dei minori, la scolarizzazione nei contesti più poveri e lo sfruttamento nel lavoro rimangono preoccupanti.
Il gruppo etnico prevalente è il bengali,  l’89% della popolazione è di religione islamica con presenza di minoranze induiste e cristiane. Il sistema delle caste, ben radicato nelle zone rurali, rende una fascia della popolazione (i cosiddetti fuori casta o intoccabili )emarginati e quasi privi dei diritti fondamentali; spesso non possono avere accesso a luoghi pubblici e possono effettuare solo mestieri considerati “sporchi” (lustrascarpe, spazzini..).
Si calcola che i disabili siano circa il 31,9% della popolazione, e che i bambini con disabilità circa 3,4 milioni. In Bangladesh non esistono strutture pubbliche destinate al trattamento di patologie psichiatriche, non vengono investite risorse nella riabilitazione dei disabili e mancano figure professionali specializzate. Povertà e disabilità sono spesso interconnesse : tra i fattori che si riconoscono come causa di disabilità vi sono le dure condizioni di vita, l’accesso limitato alle strutture sanitarie (la sanità è tutta a pagamento), la scarsa igiene, la malnutrizione.

La comunità Papa Giovanni XIII

L’Associazione Comunità Papa Giovanni XIII è presente in Bangladesh dal 1998 in un villaggio situato nella parte sud-occidentale del paese, Chalna (distretto di Khulna).
Fin dall’inizio è stata prestata molta attenzione ai fuori casta, con la realizzazione di 4 strutture per l’accoglienza di disabili. A partire dal 2001 le attività si sono strutturate ulteriormente per rispondere maggiormente ai bisogni della popolazione nell’ambito sanitario (riabilitativo, psichiatrico e di primo soccorso) ed educativo (realizzazione di tre scuole, a Chalna e in altri due villaggi, che permettono l’accesso ai bambini con disabilità).
Oltre agli interventi rivolti a minori e disabili, la Comunità sostiene famiglie in forte disagio economico aiutandole nell’avvio di piccole attività.

La mia esperienza

La mia attività si è svolta principalmente all’interno del centro di fisioterapia della Comunità, dove vengono trattati i bambini disabili accolti nelle case-famiglia e quelli che provengono da villaggi vicini. Nel centro lavora da 10 anni un fisioterapista bengalese che negli anni ha ricevuto formazione da volontari/e italiani che hanno collaborato con la Comunità.
Insieme ci siamo occupati di valutare, trattare i bambini, dare indicazioni alla famiglia circa le cose da poter fare a casa (giochi, posture, esercizi, attività..) e fornire ausili (per lo più realizzati con materiali reperibili in loco e da artigiani locali). Le patologie rientrano in gran parte nell’ambito delle paralisi cerebrali, accompagnate da malattie neuro-muscolari e malformazioni quali piede torto e scoliosi. Molti bambini che arrivano al centro spesso vengono poi portati dal neurologo o dirottati verso centri medici specializzati (che collaborano con la Comunità) perché presentano altri problemi che richiedono un’attenzione prioritaria rispetto alla riabilitazione; nelle zone rurali la maggior parte dei parti avviene in casa e molte patologie mediche non sono diagnosticate in tempo (es. problemi metabolici/organi interni).
I bambini provenienti dai villaggi più lontani possono alloggiare con la famiglia presso delle strutture messe a disposizione dalla Comunità per un periodo variabile in base alle necessità; in questo periodo si tratta il bambino e vengono istruiti i parenti circa le cose da poter fare a casa.
Dopo la dimissione, i bambini trattati presso il centro vengono visitati periodicamente a domicilio per monitorare la situazione, e richiamati al centro se necessario.
Lavoravo nel centro tutti i giorni dal lunedi al sabato, e insieme al terapista locale trattavamo ogni giorno circa 10 bambini, con cadenza di circa 3 volte a settimana. Il centro è stato negli anni fornito di materiale per la riabilitazione infantile (palloni, giochi, tappeti, ausili..) ed è stato quindi relativamente facile per me trovare delle  strategie  all’interno di quel contesto. La domenica mi occupavo di accompagnare i bambini dal neurologo insieme ai genitori e alla responsabile della Comunità, oltre a qualche visita domiciliare.
E’ stato molto arricchente percepire la gratitudine dei genitori dei bambini presi in carico, specialmente quando vedevano che, se correttamente stimolato, il bambino riusciva a “fare qualcosa” e in alcuni casi a raggiungere dei miglioramenti importanti (cammino, mantenimento postura seduta, manualità..). Molti genitori di bimbi disabili, incontrandosi tra loro all’interno del centro, hanno avuto la possibilità di confrontarsi, condividere e avere un altro approccio rispetto alla propria situazione.
Le difficoltà sono state comunque moltissime, specialmente legate al contesto socio-culturale e alla mancanza di servizi medici adeguati. Moltissimi bambini, prima della riabilitazione, avevano bisogno di medicine, di un regime alimentare corretto, di condizioni igieniche migliori, a volte di esami diagnostici specifici e non poter avere tutti i mezzi per sopperire a queste mancanze mi ha provocato inizialmente una certa frustrazione e un senso di impotenza. Un ‘altra cosa molto difficile per me è stato  spiegare ai genitori l’importanza del benessere e dell’inclusione del bambino disabile all’interno della famiglia/comunità, quindi non solo gli esercizi da svolgere (di solito capiti subito dalla mamma) ma la loro finalità in un’ottica di maggiore partecipazione del bambino. Specialmente nel caso di patologie dall’esito infausto (distrofia di Duchenne) spiegare a una famiglia che vive sotto la soglia di povertà in un contesto rurale l’importanza del movimento e del gioco per il bambino è molto complicato.
L’ esperienza è stata molto arricchente sotto tutti i punti di vista. I bengalesi sono stati una bella scoperta dal punto di vista umano (ospitali e molto cordiali) e vivere all’interno della Comunità Papa Giovanni XIII mi ha fatto sperimentare per la prima volta la quotidianità della condivisione con persone appartenenti a una cultura completamente diversa dalla mia.
A livello professionale ho dovuto attivare risorse e strategie diverse da quelle utilizzate in Italia.
Dopo quest’esperienza ho compreso ancora meglio come sia importante in questi contesti la formazione del personale locale e un approccio di tipo sociale – su base comunitaria affinchè la persona con disabilità possa vivere il massimo dell’inclusione nella propria realtà.

 

 

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