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Il terapista della riabilitazione volontario internazionale – Tesi di diploma

Tesi di diploma

Il terapista della riabilitazione volontario internazionale

Ft.: Ghensi Rossella

 

Sono una terapista della riabilitazione neo diplomata alla scuola della “La Nostra Famiglia” di Conegliano Veneto -TV-; per redire la mia tesi, che ha come titolo “Il terapista della riabilitazione volontario internazionale”, ho avuto la possibilità di sperimentare sulla mia pelle cosa voglia dire lavorare in un paese del Terzo Mondo. La scuola mi ha infatti concesso di svolgere due mesi di tirocinio nel centro di riabilitazione per bambini disabili di Mlali, nella regione di Dodoma in Tanzania.
Il centro di riabilitazione per bambini disabili di Mlali è una struttura, unica nel suo genere in Tanzania, che si trova a 1400 m s.l.m. nella regione di Dodoma a 25 km dalla strada asfaltata che congiunge la capitale con Dar es Salaam , proprio ai piedi di una catena montuosa della quale sgorga l’acqua utilizzata sia dal centro che dal villaggio.
Mlali conta circa 6000 abitanti e si stende sull’altopiano che, per la maggior parte dei mesi, si presenta secco e povero di vegetazione. Quando però arrivano le piogge di gennaio il paesaggio si trasforma e tutto rinasce in una festa di verde.
L’idea di creare questo centro nasce dai risultati di una statistica effettuata nel 1981 dalla dottoressa Gaiatto, allora medico ortopedico dell’ospedale regionale di Dodoma, che rilevava la presenza di disabili motori pari all’1,8% della popolazione. La proposta venne accettata dal vescovo di Dodoma che incaricò padre Angelo Simonetti, missionario cappuccino che prestava il suo servizio nella parrocchia del villaggio di Mlali, di costruire il centro.
Il centro è appunto gestito dai frati cappuccini della provincia di Tanzania (3 padri toscani e 4 fratelli tanzaniani) e dalle suore terziarie cappuccine colombiane, ospita oltre 40 bambini dai 2 ai 12 anni, e 10 bambini di età inferiore ai 2 anni accompagnati dalle loro mamme.
I bambini ospitati sono affetti da disabilità motorie quali esiti di poliomielite, malformazioni congenite, paralisi cerebrale infantile, esiti di malaria cerebrale e malattie reumatiche, e qui possono ricevere il trattamento fisiokinesiterapico, ortopedico ed anche chirurgico. All’interno del centro ricevono l’assistenza sanitaria e vengono assistiti per tutte le attività della cura personale. I bambini più grandi hanno la possibilità di frequentare la scuola primaria del villaggio, mentre per i più piccoli si organizzano attività di animazione didattica in una stanza del centro.
Le suore sono affiancate da una decina di ragazze del villaggio che le aiutano in cucina, nella cura dei bambini e nelle pulizie del centro.
Il progetto di padre Angelo è quello di rendere la missione autosufficiente e autonoma dagli aiuti provenienti dall’Italia. Per fare questo al suo interno sono nate alcune attività che, guidate dai fratelli tanzaniani, offrono lavoro ad alcuni abitanti del villaggio e procurano delle entrate da utilizzare per il mantenimento dei bambini e della fisioterapia. L’allevamento di mucche, capre e anatre permette di avere il latte e la carne per i bambini, la coltivazione di frutta, caffè, girasoli e ortaggi permette l’auto alimentazione e il commercio, nel laboratorio di falegnameria si sono costruiti i mobili della missione e se ne costruiscono per la vendita, l’officina meccanica e la calzoleria sono altre fonti di guadagno per il centro e di posti di lavoro per i ragazzi disabili che hanno finito l’iter riabilitativo e devono essere reinseriti nell’ambito sociale e riabilitativo.
L’attività fisioterapica è cominciata nel 1990 con sister Lucyna che, aiutata da terapisti volontari del CUAMM che svolgevano il loro servizio all’ospedale di Dodoma, ha imparato le nozioni e manovre base per il trattamento riabilitativo. Dal 91 al 95 sono intervenuti dei volontari italiani del C.V.C.S.
Nel periodo in cui sono stata ospite del centro, nella fisioterapia lavoravano una terapista diplomata in Italia presso la scuola di Conegliano, sister Shirley, e due ragazze del villaggio che hanno imparato la professione dai terapisti volontari.
I bambini vengono da tutta la Tanzania, solitamente indirizzati da religiosi di altre missioni. L’ammissione al centro viene decisa dalle fisioterapiste, che considerano il tipo di patologia e di intervento che essi richiedono.
Alcuni bambini rimangono al centro in attesa di essere sottoposti ad intervento chirurgico, che viene effettuato due volte all’anno, presso l’ospedale di Dodoma, dal dottor Mlimo, ortopedico tanzaniano di Moshi; in precedenza venivano eseguiti dai medici volontari italiani dell’ospedale di Dodoma. Prossimamente gli interventi potranno essere eseguiti direttamente nel centro grazie alla nuova sala operatoria che è in via di ultimazione.
Il trattamento viene eseguito nella palestra attrezzata con materiali provenienti dall’Italia o costruiti dalla falegnameria
Il centro è fornito anche di una piscina per l’idrokinesiterapia, e di una sala in cui si fanno gessi correttivi e splints.
La fisioterapia è supportata sia dall’infermeria che dal laboratorio ortopedico; in quest’ultimo lavorano due tecnici che preparano ortesi, docce di posizione, protesi, ausili per la deambulazione e altre attrezzature ortopediche.
Quando c’è bisogno di una consulenza medica, sia per definire una diagnosi che per prescrivere terapie farmacologiche o esami specifici, il centro fa ancora riferimento ai medici del progetto CUAMM presso l’ospedale di Dodoma, e a un pediatra tanzano che opera nella stessa sede.
Il bambino viene dimesso al momento del raggiungimento della maggior autonomia possibile, ma vengono date indicazioni ai familiari perché si continui il trattamento a casa (cura delle posture, mobilizzazione, assistenza) e ci si rivolga al centro per controlli periodici e in caso di peggioramento del bambino o di usura delle ortesi.
I limiti del centro sono:
– la mancanza di ausili specifici, come abduttori o busti, che il laboratorio non è in grado di produrre
– la mancanza terapisti locali che possano rendere autonoma la struttura
– la mancanza di un medico
– la mancanza dei settori di logopedia, terapia occupazionale e psicomotricità che renderebbero il progetto riabilitativo più globale e qualificato
– il poco coinvolgimento del personale ausiliario nel programma di stimolazione dei bambini

IL RUOLO DEL TERAPISTA DELLA RIABILITAZIONE

Nel centro di Mlali il terapista ha una funzione poliedrica che spazia anche in campi che normalmente non gli competono.

Le figure sanitarie presenti al centro sono solo le infermiere e le terapiste della riabilitazione. I medici sono assenti, ma si fa riferimento a quelli del villaggio o dell’ospedale regionale di Dodoma.
Al momento dell’accettazione spetta al TdR il compito di indagare sulla vita del paziente raccogliendo l’anamnesi con tutti i sintomi e segni, per poter stilare un’iniziale parere diagnostico e valutare se la patologia del paziente può essere curata nel centro o se abbisogna delle cure più specifiche fruibili in altre strutture. Il TdR sostituisce quindi la figura del medico fisiatra, decidendo l’ammissione, ipotizzando la diagnosi e fissando di volta in volta, a seguito di opportune valutazioni, le linee di trattamento chinesiterapico ed ortopedico.
I dati del paziente vengono inseriti in una cartella personale che viene aggiornata progressivamente con le schede delle periodiche valutazioni, con le annotazioni dei medici che visitano il paziente per definirne specificatamente la diagnosi, prescrivere particolari trattamenti farmaceutici, o indicare eventuali interventi chirurgici. Il compito di mantenere aggiornate tali cartelle e di tenerle ordinatamente archiviate una volta avvenuta la dimissione, spetta ancora al TdR che in questo caso si improvvisa segretario.
Nella palestra di fisioterapia lavorano anche le due ragazze di Mlali che non hanno però una formazione specifica in ambito riabilitativo. Il TdR deve quindi svolgere il ruolo di coordinatore del loro lavoro distribuendo i vari casi compatibilmente alle capacità e conoscenze delle ragazze, prevedendo momenti di formazione e verifica del lavoro da loro svolto, decidendo i giorni e i pazienti da mandare in visita all’ospedale, compilando il calendario dei gessi e delle operazioni, amministrando i materiali della fisioterapia (bende, garze gessate, termoplastica, fasce elastiche, creme e oli, cuscini e cunei, attrezzatura varia e giochi).
Per il trattamento dei piedi torti e la creazione delle ortesi, si rende necessario il confezionamento dei gessi che viene eseguito dal TdR; il centro è ben fornito di materiale e strumenti anche per la costruzione di splints statici e dinamici per l’arto superiore, di materiale plastico.
Il TdR lavora in contatto con il laboratorio ortopedico, al quale commissiona docce, protesi, callipers, plantari e deambulatori, e con la calzoleria, alla quale richiede particolari scarpe non reperibili tra quelle del magazzino arrivate dall’Italia. E’ proprio lui che individua il problema e illustra ai tecnici le particolari caratteristiche che deve avere l’ortesi o l’ausilio. Talvolta si richiede anche l’intervento della falegnameria per costruire particolari sistemi di postura o adattare quelli regalati dagli amici italiani, ma non adatti per le esigenze del paziente.
Rispetto al programma riabilitativo, qui più che in Italia, il terapista cerca di coinvolgere il più possibile le famiglie e di sensibilizzarle all’importanza della riabilitazione, ben consapevole che dopo la dimissione la permanenza dei risultati dipenderà dalla continuazione del trattamento a casa con i familiari. Si cerca anche di far vedere la disabilità sotto una nuova luce, contrastando i pregiudizi sociali e le credenze popolari.

ALTRE ESPERIENZE

Nel redigere la mia tesi ho avuto la possibilità di conoscere alcuni colleghi che hanno svolto alcuni anni come volontari in PVS; anche essi hanno dovuto svolgere altre mansioni oltre la loro specifica, come succede a Mlali (organizzazione del lavoro, ammissioni, archivio e segreteria, confezionamento di gessi e splints), ed alcuni hanno segnalato altre mansioni che ha Mlali sono fortunatamente coperte da altri e lasciano

così più libero il terapista, come: la contabilità, la gestione dell’infermeria, il ruolo di tecnico ortopedico e radiologo. Tali compiti richiedono una formazione e competenza specifiche, che la maggior parte delle volte ci si fa sul luogo, perché sono situazioni non conosciute prima della partenza e che si presentano di volta in volta, a seconda delle disponibilità di personale volontario o locale.
Può succedere che ci si debba arrangiare a mantenere i rapporti diplomatici con le autorità del paese ospite per ottenere permessi o agevolazioni per il proprio progetto; e talvolta si può venire interpellati dall’autorità governativa e di svolgere consulenze per il ministero della sanità, o di assumere il ruolo di coordinatore dei centri sanitari e/o riabilitativi della zona.
Un importante compito che molti hanno dovuto svolgere, e che anche in Italia sta diventando sempre più comune tra i terapisti, è quello di trasmettere le proprie conoscenze al personale locale non specializzato, ai familiari e alla comunità. La formazione di locali è importantissima per garantire la continuità dei progetti una volta che i volontari se ne vanno. Istruire famiglia e comunità è la base del metodo C.B.R. che si propone di “deistituzionalizzare” la riabilitazione per diminuirne i costi e riuscire a raggiungere il maggior numero possibile di disabili.

IL VOLONTARIATO INTERNAZIONALE

La legge 49 del 26 febbraio 1987 intitolata “nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo”, descrive all’articolo 31 la figura del volontario in servizio civile come: un cittadino italiano maggiorenne che, in possesso delle conoscenze tecniche e delle qualità personali necessarie e prescindendo da finalità di lucro, conclude un contratto di cooperazione. Egli si impegna sulla base di una libera scelta a prestare un servizio di interesse sociale comune nell’ambito di un’azione organizzata.
Il volontario fa parte di un contesto sociale ben preciso, è inserito all’interno di organizzazioni strutturate, opera un servizio per la comunità e lavora per l’obbiettivo di affiancare le popolazione dei Paesi del Terzo e Quarto Mondo nei processi di autosviluppo e autodeterminazione anche condividendo le conoscenze e le competenze acquisite.
La spiritualità del volontariato punta sulla sacralità di ogni persona, sulla fraternità universale; sulla gratuità dell’aiuto solidale; sull’amore che accoglie e valorizza ogni persona, popolo e cultura, rifiutando ogni razzismo, nazionalismo e imperialismo.
Come è stato detto prima il volontario internazionale concepisce il proprio operato al servizio di un processo di emancipazione della comunità locale a fianco della quale interviene, affinché essa veda sostanziarsi il diritto ad essere protagonista e non beneficiaria dello sviluppo. Questo significa non identificare lo sviluppo con la sola crescita economica, l’assistenza tecnica od umanitaria, il semplice trasferimento di denaro, tecnologie o infrastrutture, ma soprattutto come scambio, dinamica di relazioni, all’interno delle quali si costituiscono piccoli progetti locali o programmi più estesi di cooperazione. Cooperazione intesa come “operare insieme” non solo a livello di realizzazione, ma anche di definizione, decisione e controllo. Non sarà quindi soltanto “aiuto” perché chi aiuta si pone su un altro livello; si parla veramente di cooperazione quando si viene a creare una relazione orizzontale paritaria. La filosofia del volontariato rifiuta ogni complesso di superiorità occidentale nei confronti del Terzo Mondo, ma rifiuta però anche la mitizzazione delle culture locali, che hanno aspetti positivi e negativi; il volontariato è quindi scambio e cooperazione reciproca, circolazione di valori, intreccio di responsabilità per la giustizia e la pace internazionale.
Importante sarà che i programmi operativi nascano da effettive esigenze locali e che la loro gestione sia al più presto sostenuta dai destinatari; il compito del volontario è quello di trasferire conoscenze tecniche specifiche e di stimolare al massimo l’autosostenibilità dei programmi attraverso la condivisione delle nozioni teoriche e pratiche sia inerenti allo specifico settore d’intervento, che alla dimensione progettuale, organizzativa e di controllo dell’attività nel rispetto della cultura locale. Il successo del servizio prestato dal volontario si può misurare con la velocità con la quale si renderà inutile le sua presenza, in quanto segno che la gente del posto saprà proseguire con le sue forze e con la sua creatività.
Tutto questo presuppone una grande preparazione da parte del volontario sia in merito alla sua specifica professione che rispetto ai meccanismi di gestione della realtà progettuale, che può essere acquisita attraverso i corsi che quasi tutte le ONG organizzano durante i quali si cerca di riflettere su argomenti generali come il divario economico tra nord e sud del mondo e l’incontro interculturale, ma anche su aspetti più specifici come l’identità del volontario, la dimensione progettuale, lo spirito e le modalità di cooperazione.
Per quanto riguarda la formazione specifica del TdR è importante indagare e prepararsi rispetto alle patologie specifiche presenti nella zona in cui si andrà a cooperare e che in Italia non si sono mai affrontate, e alle competenze e strategie che si andranno a svolgere all’interno del progetto. In Italia delle ONG che operano anche nel settore riabilitativo solo l’O.V.C.I. organizza corsi specifici per terapisti; durante tali corsi si prendono in esame le patologie non più o poco presenti in Italia (poliomielite, lebbra, piede torto inveterato, ustioni, amputazioni), si considera il loro trattamento eseguito avvalendosi anche dei materiali locali e sfruttando particolari abitudini culturali, si sperimenta la modalità di esecuzione dei gessi e dei bendaggi funzionali per i piedi torti, e degli splints per gli arti superiori.
L’ONG A.I.FO. , Amici dei lebbrosi di Bologna, organizza corsi di sensibilizzazione generale al problema di tale patologia, ma senza entrare nel merito del trattamento riabilitativo; i terapisti che opereranno in suoi progetti vengono indirizzati a centri specifici quali Alert in Etiopia, e Karigiri in India (Madras), e all’ONG internazionale HANDICAP INTERNATIONAL che in Francia possiede una scuola per l’intervento sull’handicap e la costruzione di ausili con materiali locali.
Dall’indagine che ho svolto tra i TdR volontari rientrati risulta che alcune ONG che operano nell’ambito riabilitativo sono: O.V.C.I., C.V.C.S., A.I.Fo, A.S.I., Coopi, C.U.A.M.M., FON.TOV., Medicus Mundi e C.B.M.(ONG tedesca). La maggior parte di esse sono federate F.O.C.S.I.V. (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) con sede a Roma.

UN IMPEGNO CHE CONTINUA ANCHE DOPO IL RIENTRO

L’esperienza del volontariato non deve essere una parentesi di alcuni anni ma deve fruttare e diventare momento di inizio o di rinforzo di una mentalità ed un’azione che va contro alle logiche commerciali di sfruttamento e di imperialismo di qualsiasi genere, che sostiene i diritti dell’uomo e dei popoli, che promuove l’incontro culturale e le iniziative di cooperazione.
Prima cosa fra tutte è la condivisione della propria esperienza attraverso il racconto e la discussione, aiutandosi con le immagini raccolte durante il periodo di lontananza.

La FOCSIV organizza degli incontri per i volontari rientrati allo scopo di suggerire i molteplici ambiti e modi in cui essi possono valorizzare la loro esperienza di modo che non resti una cosa solo propria ma possa arricchire anche altri; essa cerca di coinvolgerli nei corsi di formazione per i volontari o nelle iniziative di sensibilizzazione del territorio; talvolta propone ruoli di responsabilità o valutazione di progetti già avviati.
Nascerà da se la voglia di restare informati sulla situazione del Paese che ha ospitato ed in generale sulla cronaca politico-culturale e sociale riguardante le dinamiche internazionale e le condizione del Terzo Mondo.
L’identità del volontario non scompare con la fine del proprio mandato, ma continua a sussistere e a manifestarsi con l’impegno rispetto alle situazioni di emergenza ed emarginazione quali la droga, l’handicap, l’emarginazione sociale, la situazione degli immigrati, e tutti gli ambiti d’intervento del volontariato sociale.
Per quanto riguarda il modo di porsi rispetto all’economia capitalistica e alla società consumistica antitetiche rispetto ai principi del volontario e alla situazione che esso ha vissuto per alcuni anni, molte sono le proposte operative:

– l’attuazione di un consumo critico che guardi prima di tutto all’essenzialità, e che guidi la scelta del prodotto anche rispetto alla loro storia e al comportamento delle imprese produttrici

– il boicottaggio delle grandi imprese multinazionali che sfruttano la mano d’opera dei Paesi più poveri o hanno comportamenti scorretti

– ridimensionare le spese rendendo le varie feste più sobrie

– sostenere le botteghe del commercio equo e solidale che distribuiscono prodotti provenienti da cooperative dei Paesi del Terzo Mondo, pagati equamente senza sfruttamenti

– utilizzare il denaro risparmiato agendo in maniera essenziale per sostenere

– adozioni a distanza

– progetti di sviluppo in Paesi del Terzo Mondo

– situazioni sociali di emergenza

– i propri risparmi possono essere custoditi nella

– banca etica che fornisce tassi d’interesse bassi o nulli se il cliente è d’accordo, e destina gli utili per il sostegno di iniziative di sviluppo sociale, etico e culturale

Con queste pagine ho voluto dare uno spunto di riflessione e delle minime informazioni per chi avesse interesse e sensibilità rispetto a questo argomento; ringrazio che mi ha dato la possibilità di raccontare la mia esperienza e chi ha avuto la pazienza di ascoltarla

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